All’ospedale Carlo Poma di Mantova si continua a utilizzare il plasma dei pazienti guariti per curare chi è affetto da Coronavirus.
Il plasma usato nella mattinata di mercoledì 15 aprile è quello di un carabiniere, Angelo Fanizza, 45 anni, vice brigadiere della caserma di Mantova. Il militare ha raggiunto il reparto di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale del Carlo Poma accompagnato dal comandante maresciallo maggiore Enrico Ponzi. Dopo avere sconfitto il Covid è fra i 17.200 avisini raggiunti dalla richiesta della presidente Elisa Turrini di aderire al progetto proposto dal primario del Trasfusionale Massimo Franchini. Ha sconfitto il Covid ed è fra i 40 donatori fino ad ora reclutati da ASST.
“Eseguiamo circa 10 test al giorno per verificare la loro idoneità – precisa Massimo Franchini – e i risultati sono incoraggianti. Angelo donerà oggi 600 ml di plasma, dal quale saranno ricavate due dosi. Voglio ringraziare, oltre ai donatori, tutti gli operatori dell’azienda che ci consentono di portare avanti questo protocollo. Una gara di solidarietà che commuove ”.
“Il 19 marzo ho iniziato ad avere febbre alta, tosse – racconta il vice brigadiere – e sono rimasto in isolamento domiciliare. Ho avuto paura, sia per me che per i miei familiari. Sono contento di potere aiutare altre persone che come me si sono ammalate”.
Il plasma ricco di anticorpi viene poi trasfuso nei pazienti, selezionati in base a criteri stabiliti dagli specialisti. Come spiega il direttore della Pneumologia Giuseppe De Donno: “Dal 23 marzo abbiamo effettuato 43 infusioni, che ci hanno permesso di trattare 25 pazienti. Una terapia che dà ottimi risultati nell’80 per cento dei casi”.
La procedura prevede la virus inattivazione dell’emocomponente, tramite apparecchiature e dispositivi donati ad ASST dalla ditta Kedrion. Una metodica particolare che rende massima la sicurezza del prodotto. Attualmente il plasma viene utilizzato solo dal Poma e dal Policlinico San Matteo di Pavia, centro capofila. Franchini lancia un appello ai colleghi: “Il limite principale è individuare i donatori guariti e arruolabili. La seconda difficoltà è la complessità del progetto. Ma chiedo ai trasfusionisti di non demoralizzarsi, perché saranno ripagati dai risultati che si ottengono”.