A 2 mesi dalla sospensione mercoledì 30 aprile riaprono, finalmente, i mercati contadini: si inizia con quello di Asola, che sarà spostato, per l’occasione in piazza Mangeri. Si proseguirà poi sabato 2 maggio con il mercato contadino di Ostiglia, che si tiene in piazza Garibaldi. La maggior parte riaprirà, però, la prossima settimana: martedì a Nogara, in via Ferrarini, di fronte a Palazzo Maggi, sede della biblioteca comunale, giovedì a Guastalla, venerdì a Suzzara, a cui seguiranno, poi, tutti gli altri 30 mercati gestiti dal Consorzio agrituristico mantovano.
Le riaperture avvengono nel pieno rispetto delle misure di prevenzione igienico-sanitaria stabilite con l’ordinanza 532, che la Regione Lombardia ha emesso il 24 aprile scorso, in particolare per quanto riguarda il rispetto del distanziamento e della distanza interpersonale.
Con i mercati contadini, che tengono conto delle esigenze di prossimità del quartiere, si contribuisce a ridurre gli assembramenti nelle strutture della distribuzione commerciale e risponde ad impellenti ragioni sociali ed economiche. Le aziende agricole partecipanti, infatti, sono a conduzione prevalentemente familiare e hanno organizzato la loro azienda per la vendita diretta. Con la sospensione dei mercati contadini, è venuto meno il principale sbocco commerciale e la più importante fonte di reddito per la famiglia rurale, proprio nel momento in cui vengono a maturazione molti prodotti che non possono essere raccolti per la mancanza di sbocchi. Si manifesta, così, il paradosso di cibo lasciato nei campi a marcire e di scaffali sempre più vuoti nei punti vendita della distribuzione commerciale. L’attivazione di altre forme di vendita diretta, tra cui gli acquisti negli spacci aziendali e le consegne a domicilio, non riescono per altro a sostituire le attività dei mercati contadini, per questo la condizione delle aziende orientate alla filiera corta è sempre più difficile.
Con la riapertura dei mercati contadini, dichiara Marco Boschetti, direttore del Consorzio agrituristico mantovano “si mantiene il rapporto diretto con i consumatori, viene confermata la produzione territoriale, si alimenta la fonte di cibo sano e, perciò, rigenerante e ne risente in modo benefico tutto l’ambiente”.